Il destino di un nome: JAEL

Quando scrissi il post “Credo in Dio, non nella Chiesa”, chiesi a Jordi cosa ne pensasse di questo argomento, come viveva la religione e che posizione avesse in merito essendosi sposato in chiesa e avendo scelto un nome dal forte significato biblico per sua figlia.

Con mia gran sorpresa, mi rispose che non si era sposato in chiesa, ma solo in Comune e che la religione la viveva in maniera distaccata e che non amava parlarne avendo lui frequentato un collegio cattolico da bambino.

Forse non tutti sanno che il nome Jael, ( in italiano Giaele) è  un nome di origine ebraica composto dalle due parole “jah” di Javeh, che significa signore ed  “Elohim” che significa Dio. Jael deriva quindi da” jahelohim” e significa ‘il signore è dio’; nome che può essere utilizzato sia per l’uomo che per la donna. Scritto Yael ha valenza maschile, Jael femminile. Fortemente legato all’episodio biblico di Giaele che mostra coraggio e risolutezza nell’uccidere Sisara, generale nemico degli israeliti, che si può leggere nel libro dei Giudici ( cap.4, versetti 20-21), Jael rappresenta la ” donna coraggiosa e temeraria”, la forza di Dio.

Questo già ci fa capire, al di là della valenza religiosa, il significato di questo nome.

Ho sempre pensato che i nomi dicono molto della persona, ma ancora di più di chi l’ha scelto. Ci sono persone che sono ben rappresentate con il proprio nome e la maggior parte delle volte si identificano con quel marchio di fabbrica che viene scelto, il 90% dei casi, dai genitori. Un compito arduo, a volte preso alla leggera, che durerà per tutta la vita.

Il nome è la nostra identità.

Jael è nata circa due settimane fa da due stelle artistiche: due persone che si amano, con valori semplici e solidi. Quegli stessi valori che sono sicura la influenzeranno così come il nome che le hanno affidato e che saprà portare con fierezza.

Ci va del coraggio a essere figli d’arte: sono sicura che non le mancherà.

Benvenuta tra di noi Jael!

Corinne

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Occhio per occhio, dente per dente: rabbia e dolore.

 
Fin da quando siamo bambini ci viene insegnato che alla violenza non si risponde mai. Inutile dirlo: quando qualcuno ci fa del male, la prima reazione che abbiamo, istintivamente, è quella di ripagare con la stessa moneta. Lo vedo anche con mia figlia che ha due anni e i suoi coetanei: ci sono fasi,nella vita dei bambini, in cui l’istinto alla violenza fuoriesce; si ricevono spintoni, sberle e subito ci si difende con le stesse azioni. La natura porta a questo.

Poi, subentra la razionalità, quella che,in teoria, ci rende superiori rispetto agli animali, che per sopravvivere uccidono. 

Nell’uomo “normale”, senza turbe psichiche o folli, coesistono stadi e gradi emozionali in equilibrio tra di loro, ma quando un evento esterno provoca il superamento della soglia di sopportazione degli istinti cosiddetti negativi,  di solito la rabbia e il dolore primeggiano, impedendo alla ragione di sostenere la pace in quel turbinio di emozioni incontrollate.

Rabbia e dolore.

Sono i principali motivi del perché esiste ancora in qualche parte del mondo,così tanto civilizzato, la pena di morte. 

Non sono mai riuscita ad esprimere un’opinione a riguardo perché nonostante (perfortuna) non abbia mai subito una perdita per omicidio o altro, non posso non pensare a come mi sentirei se mi capitasse e a cosa farei. La prima cosa che mi viene da dire e’ che dovrebbe morire il colpevole. Comprendo peró che non vi è lucidità in quel pensiero e che agendo così, mi abbasserei allo stesso livello di colui che ha commesso tale bestialità.

Il dolore provoca rabbia e quest’ultima accieca.

Lo spunto lo prendo dall’ennesima interpretazione di Jordi ne Il Segreto: scena veloce ma molto forte quella di Gonzalo che cerca di strangolare Jacinta. Negli occhi ci sono odio, rabbia e dolore: tutto ciò che fa scatenare l’inferno dentro di noi. 

  Quanto avremmo voluto vederla morta? Lei che ha sparato contro capitan Tristan, lei che ha rovinato uno dei pochi momenti di festa che esistono a Puetr Viejo. La sua follia merita la reclusione a vita. Ma può questo sanare il dolore e l’odio che Martin/ Gonzalo nutre? Lui stesso aveva giurato che avrebbe fatto giustizia e che il colpevole non sarebbe stato impunito. Allo scoprire Jacinta, chiusa in una cella e destinata a rimanere sola a vita, l’idea della giustizia amministrativa non ha calmato l’ira di Gonzalo. 

Solo l’intervento di Maria l’ha placato.

Una scena forte, recitata con grande intensità e un realismo degno di Verga. Ancora una volta questa telenovela ci fa riflettere su temi come la pazzia, la vendetta e la giustizia. 

La legge del taglione la troviamo nella stessa Bibbia: “Se uno farà lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto al suo prossimo: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente (…)”. Fin dall’antichità il tema della vendetta è parte integrante della vita e della giustizia terrena. E proprio perché considerata crudele e antireligiosa nella maggioranza dei paesi del mondo è stata abolita: una legge bestiale indegna per gli esseri umani.  

Eppure dentro di noi questo senso di rivalsa c’è, esiste. La difficoltà non sta nel trattenerlo, perché altrimenti saremmo tutti, una volta nella vita, dei potenziali omicidi, la difficoltà sta nell’ammettere che in fondo in fondo siamo tutti un po’ bestie tifando per Gonzalo. O no? 

A voi i commenti a riguardo.

Il dramma di Gonzalo e la straordinaria interpretazione di Jordi Coll

Chi approda su questo blog lo fa chiaramente per cercare informazioni su Jordi Coll. Ovvio. Come ho sempre detto e scritto, non parlo solo di Jordi, ma parlo anche dei miei pensieri e di ciò che mi passa per la mente quando sono colpita da un qualche cosa che lo riguarda.

In questi giorni abbiamo assistito alle puntate più struggenti della seconda stagione: la morte di Tristan Castro, e l’abbandono dell’attore che lo ha interpretato, Alex Gadea. Tristan, marito di Pepa e padre di Martin/Gonzalo.

Sono una persona solare, mi piace ridere e scherzare, ma ammetto che tra i generi che amo di più, in tv o al cinema, sono predisposta al dramma. Far ridere dicono che sia più difficile che far piangere, ma diciamoci la verità, un attore si misura soprattutto con ruoli drammatici: l’intensità e il “calarsi” nella parte come fosse realtà è qualcosa di straordinario e affascinante. Per me chi riesce a emozionare e a trasmettere ciò che il ruolo richiedere è degno di stima e ammirazione perchè sa fare il proprio lavoro.

Ci sono delle cose che avrei voluto chiedere a Jordi, ma  se per noi questi giorni sono intrisi di lacrime e dispiacere per la scomparsa del Capitano, in casa Coll ferve l’impazienza e l’ansia per l’arrivo di Jael. Non era quindi il caso di disturbarlo con questo, ma sicuramente alla prossima intervista, non mancherà questa domanda: come ci si prepara ad affrontare un ruolo così drammatico? e qual è il coinvolgimento che si ha? Una volta terminato passa tutto o te lo porti a casa e permane per qualche giorno?

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Io sono dell’idea che quest’immagine dica tutto. Le parole sono un semplice contorno, sono quelle che marcano l’intensità della scena e del momento che sta vivendo il personaggio. Le parole sono un corollario, perchè io qui potrei anche smettere di scrivere: questa è l’immagine del DOLORE. 11219545_1668620926704318_6787526421203415745_o

E il dolore, la perdita ci fanno pensare. Ci fanno riflettere e ripercorrere il passato. Vediamo il futuro come un grosso punto interrogativo, che c’è sempre stato, ma che cancella tutte le aspettative e i desideri che fino a quel momento avevano albergato nella nostra mente e nel nostro cuore. E questo è : RABBIA,

seguita da una grande AMAREZZA.

11059626_1668624703370607_2937764963572532526_o (1)A volte il binomio bellezza e bravura interpretativa fanno fatica a coesistere, per me, prima dell’estetica, vince la sua bravura. Puente Viejo gli ha dato una gran bella spinta nel mondo della televisione, ma soprattutto dell’interpretazione e gli auguro che possa cavalcarla perchè se la merita tutta.

Molte persone denigrano le soap per il basso profilo intellettivo, paragonato ai folleton tradizionali o ai fotoromanzi di un tempo. Beh, io ho sempre sostenuto che ne Il Segreto la sceneggiatura e l’ambientazione sono fatte molte bene: anche chi non è mai uscito da casa propria può rapportarsi ad un mondo nuovo e a questioni sociali sempreverdi. Se in più aggiungiamo anche il livello di recitazione che hanno tutti, beh, sinceramente il basso profilo ce l’ha chi lo contesta senza averlo seguito.  

Che dire di più? Gustiamoci d’ora in avanti l’evoluzione di Gonzalo/Martin uomo e non più “cura”, perchè è da uomo quale è, che da il meglio di sè!

A presto!